Legatorie, una crisi nella crisi? Oppure un momento difficile che si aggrava proprio mentre altri settori cominciano a vedere la luce in fondo al tunnel? Un interrogativo che ritorna d’attualità con la notizia che la Legatoria Riva di Vicenza prevede di lasciare a casa, e senza ammortizzatori sociali, una trentina di addetti già da alcuni mesi privi di stipendio. Il caso è emerso per il mancato pagamento degli arretrati, quando all’incontro con i sindacati l’imprenditore Giampaolo Riva ha comunicato che l’azienda sta per presentare istanza di fallimento.

“Ma siccome la Riva non può coprire il cosiddetto anticipo Inps, oltre alla cassa integrazione gli addetti non avrebbero usufruito nemmeno della mobilità – ha spiegato a Stampamedia Sergio Baù, segretario Slc Cgil di Vicenza –. Noi riteniamo che si debba ricorrere alla cassa straordinaria per crisi aziendale, e abbiamo chiesto alle istituzioni di farsi avanti, anche perché c’è il dubbio che da anni non vengano pagati i contributi Inps, sui quali chiediamo una verifica immediata”.

L’ultimo aggiornamento sul caso Riva apre però uno spiraglio: forse sarà possibile accedere alla procedura di mobilità: tutti licenziati, in sostanza, ma se non altro con una copertura fino a due anni di salario e l’opportunità di attivare corsi di riqualificazione. “Se l’azienda avesse avvertito dell’imminente stato di crisi, considerate le evidenti difficoltà, avrebbe potuto chiedere la cassa integrazione. Se invece cercava un’intesa con nuovi soci, le trattative si sono arenate”, dice Baù.

In provincia di Vicenza la crisi del comparto grafico-editoriale è tutt’altro che superata (con la perdita di almeno 2000 posti di lavoro sugli 11 mila attivi nel 2008), e coinvolge ogni segmento escluso il packaging. Ma è proprio la legatoria ad aver subito i contraccolpi peggiori. “C’è stata poca innovazione – lamenta il sindacalista –: non tutti sono stati in grado di ristrutturarsi e di reggere il passo, internazionalizzarsi, investire sui processi e riqualificare i lavoratori. Le imprese procedono da sole, quasi nessuno punta all’integrazione e a superare le gelosie. Per esempio, perché non creare una rete commerciale condivisa, visto che chi si è salvato lo deve all’export?”

Una lettura che Massimo Pellegrini, imprenditore modenese e titolare di Legotecnica e di Legraf, condivide almeno nei principi. “La legatoria ha un problema strutturale? Certo dovrà scontrarsi con tutte le criticità che non ha saputo affrontare in questi ultimi cinque anni di crisi – esordisce seccamente –. Anzi, i problemi sono stati rimossi in un modo che potrebbe portare a guai ancora più seri. Cosa è successo? Che spesso la crisi è stata affrontata pensando a una tempesta che tanto prima o poi sarebbe passata. Grave errore. E perfino chi ha creduto di doversi ristrutturare si è limitato a contenere il costo del personale, senza modificare le logiche aziendali”.

Fra le altre cause, Pellegrini cita un sistema giudiziario che non tutela i fornitori, i quali subiscono senza poter reagire i problemi, i fallimenti e i concordati altrui. “Quasi sempre la legatoria si vede presentare il conto delle crisi finanziarie delle aziende grafiche – sottolinea –, come capita alle aziende del segmento post-press, affondate prima dalle insolvenze dei clienti e poi dal crollo delle commesse. Ciò detto, le imprese hanno la loro fetta di responsabilità, perché ormai le solite medicine, resistere aspettando che passi oppure tagliare il costo del lavoro, sono inutili”.

Un circolo vizioso di problemi che generano risposte sbagliate, col risultato di disperdere know-how ed esperienze. E un mercato che sbaglia a voler combattere solo sul prezzo. Dipende forse dal fatto che le legatorie sono una lavorazione a limitato valore aggiunto, cioè genera una minor competitività? “In molti casi è vero, ma a volte è il dopo-stampa il vero valore aggiunto – precisa Pellegrini –, perché vanta una lunga tradizione per qualificare il prodotto grafico. Comunque le legatorie sono… legate al territorio, non possono cercarsi clienti vivaci o andare all’estero”.

C’è una via d’uscita di fronte a questa spirale tendenzialmente autodistruttiva? “Deve cambiare la mentalità imprenditoriale: più ottimizzazione, aggregazioni, nuovi processi produttivi. Nuove soluzioni per nuovi scenari, insomma, anche se è faticoso modificare abitudini e convenzioni”.