Il panorama del settore grafico piemontese visto dagli occhi di un imprenditore che ha dedicato una vita al mondo della stampa e al gruppo (il gruppo Canale di Borgaro Torinese) che porta il suo cognome non può che apparire desolante. Perchè in questi anni, e soprattutto nell’ultimo periodo, sono cadute come birilli grandi e storiche realtà che davano lavoro a centinaia di dipendenti. Dalla chiusura della Deaprinting di Novara al fallimento di RotoAlba che, insieme con le attività di stampa una volta facenti capo al gigante Ilte di Vittoria Farina e per le quali è cessata l’attività tra concordati e fallimenti (leggi nuova Satiz ed Enerprint), era finita nel perimetro del gruppo di Guido Veneziani Editore.
E così, racconta Giacomo Canale, di grandi aziende di stampa nel nostro territorio siamo rimasti solo noi e la Stige a cui aggiungere la Stamperia Artistica Nazionale. Aziende, Canale ovviamente si riferisce alla sua, che resistono in un mercato sempre più difficile e sempre meno redditizio. Uscito, leccandosi le ferite, e a caro prezzo, dall’avventura del matrimonio finito anzitempo proprio tra la Canale (attraverso la Sergraf) e la Satiz che Alessandro Rosso tramite un’operazione di management buy out aveva rilevato dalla Ilte, Giacomo Canale ha messo una pietra su quella che per lui è stata una brutta storia. L’intesa, annunciata nel novembre del 2013, avrebbe dovuto far nascere il nuovo polo grafico piemontese da circa 90 milioni di euro di ricavi con 600 dipendenti. Ma ben presto, come aveva spiegato nell’aprile dell’anno scorso – dopo la fine anticipata delle nozze – l’ad di Sergraf Enzo Gabbai, a Borgaro Torinese si erano resi conti “che il ramo preso in affitto da Satiz, ovvero lo stabilimento di Moncalieri, era un ramo d’azienda fallimentare”.
Storia passata e ormai chiusa, per Giacomo Canale che guarda al futuro del suo gruppo convinto che una delle scelte strategiche più importanti, di fronte alla crisi che ha colpito il settore nel nostro Paese e allo spostamento negli ultimi anni di rilevanti commesse degli editori europei (a partire da quelli inglesi e francesi) in Cina, sia stata quella di sviluppare le attività di stampa in Romania. Dove oggi, spiega, “realizziamo circa 20 milioni di euro di ricavi con circa 250 dipendenti”. Nello stabilimento di Bucarest girano due rotative a 16 e 48 pagine Manroland Lithoman e un reparto di macchine piane Kba alle quali si è recentemente aggiunta una nuova 120×160 a 4 colori sempre di casa Kba.
Se Canale investe in Romania scommettendo sull’ampliamento del mercato dell’Est europeo, non ha per il momento alcuna intenzione di farlo in Italia dove l’attuale forza produttiva basta e avanza per commesse che hanno visto forti riduzioni con la scomparsa di molte riviste e comunque il taglio di foliazioni e di tirature di quelle che vanno ancora in edicola. Un po’ meglio sta andando il settore dei libri sebbene la concorrenza cinese (oggi meno forte per l’apprezzamento dello yuan) abbia sottratto molto lavoro in Europa. E oggi ci sono grandi gruppi di stampa cinesi (come quello che in vent’anni partito da zero oggi fattura 1 miliardo di euro) che stanno guardando proprio all’Europa per mettere delle teste di ponte commerciali, e in parte produttive, per contrastare il ritorno a casa di alcune commesse che prima erano finite in Cina.
Pur in un mercato che, conclude Canale, non dà segni di ripresa e il fallimento di molte aziende – per cui è difficile immaginare l’intervento di qualche cavaliere bianco – non porta più di tanto nuovo lavoro alle aziende che resistono, la Canale, concentrata a Borgaro Torinese dove lavorano 180 persone (ma un tempo erano 600) e dove sono presenti tutte le fasi della lavorazione – dal pre-press al reparto di macchine piane Kba, dalle due rotative Lithoman a 80 pagine alla legatoria interna, mentre quella di Borgo San Dalmazio, rilevata da una cooperativa di servizi avrebbe cessato l’attività – mantiene un fatturato attorno ai 40 milioni di euro.