Riparte, questa volta forse con più speranze di arrivare al traguardo, la corsa per trovare un buon partito e accasare finalmente il gruppo Fedrigoni. Dopo la lunghissima telenovela che prosegue da almeno un paio d’anni, fatta di improvvisi innamoramenti e altrettanto repentini voltafaccia a due passi dall’altare, sono date in fase di accelerazione le trattative tra la famiglia Fedrigoni e la squadra di potenziali partner formata da Edizione Holding dei Benetton e da Investindustrial di Andrea Bonomi, che avrebbe presentato una proposta su cui andare avanti.

Sul tavolo riposa da tempo il pacchetto di controllo dello storico gruppo cartario, e anche se dal vertice della società non filtrano dichiarazioni ufficiali, fonti vicine ad ambienti della finanza non escludono che si possa arrivare rapidamente al closing, forse già all’inizio di novembre, una volta sistemati gli ultimi passaggi critici, soprattutto sul versante della valutazione complessiva e delle garanzie di continuità: proprio gli scogli sui quali si sono infranti i tentativi precedenti.

Per completare il risiko mancano ancora all’appello i dettagli della due diligence, ma le distanze non sarebbero incolmabili né per quanto riguarda il fronte della governance (con la conferma di un sostanziale mantenimento dello status quo per un paio di esercizi) né sul valore attribuito al gruppo. Il gruppo dirigente, dal presidente Alessandro Fedrigoni all’amministratore delegato Claudio Alfonsi, artefice dello sviluppo e della stabilità dell’azienda nella quale opera da 36 anni, vedrebbe di buon occhio il mix proposto dal tandem Benetton-Bonomi, perché senza continuità generazionale una proprietà forte e solida è più che mai necessario per proseguire la crescita.

La Fedrigoni ha anche tentato diverse volte la via della Borsa, motivando la scelta agli investitori con la volontà di espandersi ulteriormente all’estero. La prospettiva era di collocare un flottante di oltre il 50% e diventare così di fatto una public company. In fase di “riscaldamento” il valore di Fedrigoni aveva ottenuto una valutazione tra i 440 e i 560 milioni di euro, con 515-655 milioni di capitalizzazione post-aumento di capitale. Nonostante lo stop alla Borsa la campagna acquisti è proseguita, sia oltreoceano che in Europa, con il sostegno della finanza.

Poca fortuna anche nei tentativi di approccio a partner forti. Nel 2015 nulla di fatto con Charme, la società di investimento di Montezemolo: la transazione era stata ritenuta troppo a debito. Nel 2015 ci avevano provato una prima volta anche i Benetton, affiancati dal fondo di Singapore Temasek, ma a fronte di un’offerta di 500 milioni la partita era finita prima di cominciare, visto che Fedrigoni pensava di spuntarne almeno 650-700. Ma oggi Treviso ci riprova alleandosi con Bonomi, che dopo aver dovuto rinunciare al gruppo Rcs nello scorso luglio a favore di Umberto Cairo, si sarebbe concentrato sul “bersaglio” Fedrigoni proprio insieme ai Benetton.[[

La Fedrigoni fa saldamente parte del gruppo di testa fra i player mondiali per la produzione e il commercio di numerose tipologie di carte pregiate (compresa quella per banconote) e nota per essere proprietaria dello storico brand Fabriano. Nel 2015 ha sfiorato il miliardo di euro di ricavi consolidati (precisamente 977 milioni, con un incremento vicino al 12%), superando la soglia di 120 milioni di ebitda (+5,2%) e un risultato netto cresciuto dell’8% a quasi 58 milioni. Con questi numeri non sembrano pesare nemmeno i 178 milioni di debiti, saliti a causa delle acquisizioni.

Altrettanto positive le previsioni per il 2016: si ipotizza un fatturato intorno a 1,2 miliardi con un utile di 146 milioni, pari a un balzo del 21%. Valutato costante anche il numero di addetti: 2700, nei 13 stabilimenti del gruppo, due in Spagna e altrettanti in Brasile, i rimanenti nove in Italia. I numeri confermano che se anche il gruppo scaligero finirà nell’orbita di Benetton e Bonomi la crescita non dovrebbe rallentare, anche grazie alla forte attività sui mercati internazionali, dove viene collocato il 67% del fatturato. Ultimo dubbio, la sede: rimarrà a Verona o sarà spostata?